Odontoiatria restaurativa
La Conservativa è quella branca dell’odontoiatria che si occupa della restaurazione di denti che presentano, conseguentemente a carie o traumi, lesioni dello smalto e della dentina.
Il termine conservativa indica proprio l'obiettivo di tale cura: la conservazione del dente altrimenti distrutto.
Una perdita di sostanza dentaria può derivare:
- da cause batteriche, cioè dall'azione di microrganismi del cavo orale, come nella carie dentaria;
- da cause non batteriche che comprendono:
- Fattori meccanici che determinano:
- fratture;
- attrito: un tipo di usura dentaria legata ai reciproci rapporti dente/dente sia durante la masticazione (influiscono la ruvidezza dei cibi, le abitudini masticatorie ecc.) sia durante il bruxismo (digrignamento/serramento dei denti);
- abrasione: un tipo di usura dentaria tipica dell'area cervicale e causata da un agente fisico applicato al dente: il più comune è lo spazzolino, specialmente se: a) è usato in modo scorretto, b) ha setole dure, c) è associato con pasta dentifricia a elevata abrasività.
- Fattori chimici che determinano erosione delle superfici dentarie.
- Fattori meccanici che determinano:
- disturbi odontogenetici, cioè che si verificano durante il periodo di formazione del dente influenzandone le caratteristiche qualitative e quantitative dei tessuti duri del dente.
La carie può essere definita come una malattia batterica che determina una progressiva e, successivamente, irreversibile distruzione dei tessuti calcificati del dente caratterizzata dalla demineralizzazione della componente inorganica e dalla dissoluzione di quella organica (proteolisi).
Si tratta di una cavità, conseguenza di un iniziale processo di demineralizzazione del dente, che interessa una porzione più o meno estesa della corona (in genere comincia dai solchi della corona) e che dalla superficie esterna si porta in profondità.
Inizia dallo smalto, nelle aree dove la placca batterica ristagna, poi si propaga alla dentina, fino ad arrivare, progredendo nella sua opera distruttiva, a scoprire la camera interna del dente, dove è contenuto l'organo della sensibilità: la polpa dentaria.
Per le molteplici complicanze che può determinare, domina gran parte della patologia orale (pulpopatie, parodontiti apicali, ascessi, flemmoni, osteomieliti, ecc), con conseguenti compromissioni di ordine locale e generale.
La carie dentale è la patologia più diffusa al mondo, praticamente la quasi totalità della popolazione ha o ha avuto una carie nel proprio cavo orale, rappresenta una malattia sociale, da “civilizzazione”.
La carie è una patologia multifattoriale perché per manifestarsi necessita la compresenza di alcuni fattori che singolarmente non sono sufficienti per determinarla:
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Microrganismi presenti nel cavo orale con attività cariogena
I principali batteri responsabili della lesione cariosa sono lo Streptococco mutans e il Lattobacillo, il primo in particolare è in grado di legarsi alla superficie dello smalto e di costruire una rete di polisaccaridi (zuccheri complessi) alla quale aderiscono numerosi altri microrganismi, si forma così la placca batterica.
Tra i microrganismi presenti nella placca batterica, un ruolo importante è svolto dal Lattobacillo il quale, anche se non è in grado di aderire direttamente allo smalto, è in grado di fermentare i carboidrati ingeriti con la dieta producendo acidi (a. lattico, a. acetico, a. citrico) capaci di dissolvere i tessuti duri del dente.
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Dieta ricca di carboidrati
Gli zuccheri sono un elemento fondamentale per la formazione della carie, essi sono trasformati in acidi da alcuni tipi di batteri normalmente presenti nel cavo orale, tali acidi provocano la demineralizzazione del dente, e quindi l'inizio del processo carioso.
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Suscettibilità dell’ospite (predisposizione individuale)
- Fattori locali: Le caratteristiche strutturali dei denti incidono notevolmente sulla possibilità di formazione della carie, ad esempio se il dente presenta solchi molto accentuati o delle fessure si avrà un maggiore ristagno di residui alimentari e di batteri (placca batterica) che sono i fattori scatenanti di un processo carioso. Un’altra condizione in cui si determina un accumulo di placca difficilmente rimovibile si ha in caso d'affollamento dentario, in quando si formano delle nicchie che difficilmente le setole dello spazzolino riescono a raggiungere.
- Fattori sistemici:
- condizioni fisiologiche che determinano una maggiore predisposizione alla carie, ad esempio durante la gravidanza e l’allattamento si hanno delle modificazioni ormonali che alterano la qualità della saliva, rendendola più viscosa, aumentando così l’adesività dei batteri al dente;
- condizioni patologiche, come l’ipotiroidismo, l’ipoparatiroidismo, disvitaminosi (A, C, D) e malattie esantematiche, come morbillo e varicella. Ma anche tossicodipendenze (mancanza di igiene orale, xerostomia, bruxismo, predilezione alimenti dolci) e terapie radianti (carie radioindotta è un processo carioso ad andamento tumultuoso e rapidamente progressivo che insorge iniziando nella zona cervicale del dente, a breve distanza da un ciclo di terapia radiante a dosi radicali).
La demineralizzazione del dente può essere definita come il processo di solubilizzazione e quindi di perdita di minerali da parte dello smalto.
Si può riassumere il processo di demineralizzazione in alcune fasi distinte.
- La placca batterica, diffusa nel cavo orale, metabolizza i carboidrati assunti con l’alimentazione producendo acidi.
- Gli acidi abbassano il livello fisiologico del pH delle aree dentali ricoperte da placca (circa 6,8) a valori inferiori a circa 5,7, parametro che costituisce la soglia di solubilità dello smalto.
La saliva, grazie alla presenza di sostanze tampone, riporta il pH (livello di acidità) della cavità orale a valori fisiologici, ripristinando l’equilibrio tra demineralizzazione e remineralizzazione che comporta la restituzione dei minerali persi allo smalto. In caso però di aggressioni acide frequenti e prolungate la saliva da sola non è in grado di ripristinare l’equilibrio fisiologico.
La carie si divide in:
1. carie della corona
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- superficiale, quando interessa solo lo smalto (GRADO 1)
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- media, quando giunge alla dentina (GRADO 2)
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- profonda, quando giunge alla polpa (GRADO 3)
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- complicata, quando crea una pulpite e successivamente una lesione periapicale o un ascesso (GRADO 4)
2. carie della radice (GRADO 5) (media, profonda, complicata)
Le carie iniziali, le cosiddette white spot, cominciano sotto la superficie dello smalto e si presentano come una discolorazione. Tale lesione cariosa iniziale può essere quasi completamente remineralizzata. Se la demineralizzazione continua, tuttavia, la white spot finirà per arrivare in superficie e formare la cavità: la carie.
La carie viene definita attiva quando si manifesta come una fessura nella quale si impegna lo specillo, cioè la punta della sonda metallica si incastra a cuneo al suo interno come farebbe un chiodo spinto nel legno verde; la carie sospetta invece è un piccolo foro annerito, ma duro al sondaggio, che va mantenuto sotto controllo, in quanto potrebbe evolvere o in una carie vera e propria, o, a seguito di una buona igiene domiciliare, in una carie secca, cioè una zona dello smalto abrasa, annerita, ma comunque sana e che quindi non necessita di alcun tipo di cura.
Naturalmente i controlli periodici sono utili ad intercettare situazioni patologiche in uno stato il più precoce possibile, ma capita che in casi particolarmente trascurati si rilevino carie così estese, definite carie destruenti, che raggiungono una estensione tale da annientare l'intera superficie occlusale, e ridurre il dente ad un "moncone" cariato, a volte così danneggiato da richiederne l'estrazione, perché il tessuto rimasto sarebbe insufficiente a sostenere una ricostruzione o una corona.
Esistono anche le carie definite “rampanti”, il cui decorso è rapidissimo, con una morfologia caratteristica e a localizzazione esclusivamente cervicale delle superfici vestibolari e linguo-palatali.
La carie è, in genere, una patologia che può mantenersi per un certo tempo silente o poco sintomatica (stadio iniziale). Infatti, i primi tessuti (smalto) ad essere colpiti sono privi di sensibilità. I primi sintomi possono comparire solo quando i batteri hanno oltrepassato tutto lo spessore di smalto e hanno raggiunto la dentina sottostante. Quest'ultima, infatti, possiede un complesso meccanismo sensitivo idrodinamico che consente di trasmettere alla polpa ("nervo") una certa sensibilità. Il sintomo più frequentemente riferito dal paziente in questa fase della malattia è una certa sensibilità dentale, in associazione con bevande fredde o molto zuccherate (ipersensibilità dentale).
Spesso anche di fronte alla completa distruzione del dente il paziente può non riferire alcun fastidio particolare e mostrarsi anzi sorpreso di quanto avvenuto senza dolore. Solo con il controllo periodico dal dentista – che va effettuato anche in assenza di dolore – è possibile verificarne la presenza fino dai primissimi stadi e intervenire con una terapia precoce e quindi limitata, minimizzando i danni e scongiurando dolori improvvisi e cure in regime di urgenza.
Il dolore perciò, nel caso dei denti, non è un segnale di allerta affidabile e neanche un indice di gravità del danno: la soluzione è la visita periodica dal dentista.
L’eccessiva sensibilità al freddo è un sintomo da tenere in considerazione, ma non è un indice univoco della presenza di una carie. Può essere causata anche dalla scopertura a livello dei colletti (la parte dei denti prossima alla gengiva) per malattia parodontale, per abrasione da spazzolino da denti usato in maniera scorretta, oppure per una particolare acidità del cavo orale (erosione da eccessiva assunzione di cibi acidi come agrumi o aceto, o ancora per situazioni patologiche quali il reflusso gastroesofageo). Anche il digrignamento (bruxismo), o incrinature/fratture possono dar luogo a ipersensibilità al freddo.
Oltretutto il segno del dolore al freddo o anche ai cibi dolci o salati è completamente assente nei denti già devitalizzati. È la polpa la parte sensibile e se la polpa è in necrosi, o è stata asportata per una pregressa terapia canalare, questo sintomo viene a mancare.
Da notare a questo proposito che la carie attacca indifferentemente e con la stessa intensità sia denti sani, sia denti precedentemente curati o devitalizzati.
In seguito ad un trauma nel distretto oro-facciale i denti (generalmente quelli anteriori) possono essere coinvolti, fratturandosi.
Fratture della corona
La frattura può interessare la corona del dente senza interessamento della polpa (frattura non complicata) (figg. A e B) e in questi casi si interviene semplicemente ricostruendo il frammento mancante o “riattaccando” il frammento di dente spezzato.
In quest’ultimo caso è necessario, prima dell’arrivo al pronto soccorso odontoiatrico, conservare il frammento o nel latte o direttamente in bocca per impedirne la disidratazione.
Se la frattura coronale è complicata (fig. C) sarà necessaria la devitalizzazione del dente.
Fratture della radice
Le fratture che interessano la radice del dente (fig. F), a causa dell’impossibilità di intervenire, necessitano generalmente l’estrazione del dente.
Le fratture miste corono-radicolari (figg. D e E), possono consentire il recupero dell’elemento dentario in funzione della profondità della frattura: tanto più si estende sotto la gengiva, tanto più la prognosi è negativa.
In caso di trauma dentale contattare tempestivamente il proprio dentista.
Se il dente si frattura, recuperare il frammento e conservarlo/trasportarlo in un bicchierino di acqua fisiologica oppure di latte.
Frattura coronale non complicata di un incisivo centrale superiore: prima e dopo la ricostruzione del dente.
L’erosione dentale è la graduale dissoluzione del tessuto duro del dente (smalto e dentina) dovuta all’azione acidi di origine intrinseca (es. vomito, reflusso) o estrinseca (assunti con gli alimenti), senza il coinvolgimento della flora batterica orale.
Si verifica quindi quando lo smalto dentale subisce gli attacchi di acidi che, diversamente da quelli responsabili della carie, non sono prodotti da batteri presenti nel cavo orale ma provengono da cibi, bevande o dallo stomaco. Il contatto con tali acidi causa direttamente la perdita di sostanza sulla superficie dentale.
L’erosione è un fenomeno irreversibile che colpisce attualmente circa una persona su tre, ma questa incidenza tende ad aumentare a causa dei cambiamenti negli stili di vita.
I danni da erosione si possono dividere in lievi, moderati e severi. Se non si previene la progressione dell’erosione, le conseguenze possono essere ipersensibilità dentale e segni visibili di logoramento dello smalto. Difficilmente l’individuo si accorge che è iniziato un processo di erosione che, nei casi più gravi, può arrivare ad intaccare la dentina.
È quindi necessaria la diagnosi, inclusa l’analisi dei fattori di rischio, da parte del dentista.
Se è vero che l’erosione è un fenomeno irreversibile è anche vero che è possibile bloccare l’evoluzione del processo. Per fare ciò è necessario ridurre l’esposizione agli acidi seguendo alcuni semplici suggerimenti (diminuire il consumo di bevande e cibi acidi…), adottare delle abitudini alimentari particolari (consumare alimenti ricchi di calcio e/o fosfato) e proteggersi attraverso l’utilizzo di prodotti specifici.
Fattori di rischio
Alimenti acidi
Una dieta ricca di alimenti acidi può comportare il rischio di ’insorgenza di erosione.
Rientrano in questa categoria:
- frutta (kiwi, pompelmo, arancia);
- bevande acide (frullati alla frutta, bevande energetiche, bibite gassate leggermente alcoliche);
- dolciumi acidi (caramelle agli agrumi);
- alimenti contenenti aceto (condimenti per insalata, conserve sotto aceto).
Farmaci/integratori
Alcuni farmaci e integratori possono risultare particolarmente erosivi soprattutto se assunti in forma liquida o in compresse effervescenti. Ne sono esempio l’acido acetilsalicilico e i tonici a base di ferro. Anche gli integratori di vitamine acide, se consumati frequentemente, possono portare ad erosione dentale.
Disturbi gastrointestinali/disordini alimentari
L’erosione può anche essere causata da fattori intrinseci, come gli acidi provenienti dallo stomaco.
È questo il caso di persone che soffrono di reflusso gastroesofageo o con vomito frequente o cronico causato da terapia (p. es. chemioterapia) o dovuto a bulimia o anoressia.
L’ipersensibilità dentinale viene definita dall’American Academy of Endodontics come una breve e violenta reazione dolorosa provocata da stimoli termici, meccanici e chimici sulla dentina esposta.
La dentina è la struttura portante del dente, racchiude la polpa ed è fisiologicamente sensibile, perché attraversata da tubuli dentinali che contengono fibre nervose; è coperta dallo smalto e dalla gengiva, per cui non è a contatto con l’ambiente orale. Queste “protezioni naturali” possono andar perse per diverse cause:
- età avanzata
- errata tecnica di spazzolamento
- dentifrici altamente abrasivi
- colletti esposti
- usura
- abrasione
- erosione
- difetti dello smalto
- carie
- traumi
- malattia parodontale
- procedure operative:
- conservative (sensibilità postoperatoria anche per piccole otturazioni)
- protesiche
- parodontali (esposizione di colletti o radici)
- ortodontiche
- chirurgiche
Quando la dentina è esposta, si crea una connessione diretta tra il cavo orale e la polpa dentale attraverso i tubuli dentinali. Stimoli esterni, come la pressione durante lo spazzolamento, sbalzi di temperatura (caldo-freddo) e stimoli chimici (dolce-aspro) vengono trasmessi attraverso i tubuli dentinali alla polpa dentale sensibile. Il risultato è una spiacevole sensazione di dolore.
I cibi dolci, freddi, caldi, acidi causano un movimento dei fluidi nei tubuli dentinali che sollecita, stirandole, le terminazioni nervose.
I pazienti con denti ipersensibili si trovano in un circolo vizioso. Dal momento che provano dolore quando usano lo spazzolino, smettono di spazzolare accuratamente i denti e la placca non viene più asportata. Le gengive si infiammano, si ritirano ulteriormente, e il dolore aumenta. Si verifica anche una maggiore produzione batterica di acidi, con conseguente maggiore rischio di sviluppare carie cervicale. L’ipersensibilità dentinale interessa in media 1 paziente su 4.
Con l’adozione di un’igiene orale specifica è possibile ridurre significativamente l’ipersensibilità dentinale.
Il termine “otturazione”, diffusamente utilizzato nel linguaggio comune, è riferito a tutte quelle “ricostruzioni” o “restauri dentali” che mirano a ristabilire la corretta anatomia della struttura dentaria in minor o in gran parte andata persa a causa delle patologie sopra descritte. Ristabilire l’anatomia, quasi come delle vere e proprie sculture, significa ripristinare la corretta funzione dei denti. Ciò si realizza o direttamente sul dente del paziente in un’unica seduta (restauri diretti) oppure prima viene ricostruita quella parte di dente mancante in laboratorio da parte dell’odontotecnico e poi applicata sul paziente in ambulatorio dall’odontoiatra (restauri indiretti). In entrambi i casi è richiesta una certa manualità ed esperienza da parte dell’operatore per riprodurre fedelmente la complessa morfologia dentaria.
Le ricostruzioni del dente possono essere eseguite con differenti materiali.
- Per curare un dente “da latte” di un bambino piccolo, è indicato usare il compomero (un materiale che cede fluoro al dente e può essere applicato con una tecnica abbastanza veloce e quindi poco traumatica per il piccolo paziente).
- Per eseguire un restauro di piccole-medie dimensioni in un dente permanente è invece indicato usare il composito, un materiale resinoso molto estetico che ha la caratteristica di poter aderire al dente formando un corpo unico e che consente di sacrificare la minor quantità possibile di tessuto sano. Per utilizzarlo correttamente è indispensabile posizionare la “diga di gomma” (un foglio di gomma bucato al centro per far uscire i denti su cui si deve lavorare, isolandoli così dal resto della bocca, al fine di ottenere un campo asciutto e di non far ingerire al paziente sostanze sgradevoli). Molto utilizzata in passato, soprattutto nei settori posteriori, è l'amalgama d'argento (le cosiddette "piombature"), oggi ormai in disuso visto le eccellenti proprietà estetiche e biomeccaniche dei materiali compositi e la sua presunta tossicità legata al mercurio in essa contenuta (v. avanti).
- Se la quantità di sostanza dentale da rimpiazzare è notevole può essere indicato eseguire un intarsio in composito o in ceramica, cioè un restauro indiretto eseguito in laboratorio dall’odontotecnico (previa la presa di un’impronta della bocca) che verrà poi cementato in bocca dal dentista. Gli intarsi sono anche indicati nei denti devitalizzati (che per questo motivo sono più fragili) per proteggerne la porzione masticante e prevenire le fratture verticali della radice (un danno non reversibile che obbliga all’estrazione del dente).
L’amalgama d’argento è tossica?
L’amalgama d’argento è un materiale da otturazione, attualmente sempre più in disuso ed è un composto costituito dall’unione di una lega polverizzata (argento, stagno, rame, zinco oro, palladio, indio) amalgamati dal mercurio mediante miscelazione meccanica o manuale. Questi componenti, opportunamente miscelati formano una massa plastica che via via si trasforma in una struttura solida. La tossicità del mercurio è stata universalmente comprovata, ma altrettanto accertata è la biocompatibilità dei restauri in amalgama; secondo quanto affermato dall’O.M.S. infatti: “Non esiste per i pazienti portatori di restauri in amalgama alcun rischio per la salute propria e dei nascituri. È dimostrato che il mercurio, una volta legato agli altri metalli, è stabile e si libera nel cavo orale dalle otturazioni in quantità assolutamente trascurabili per la salute.
La diga di gomma è un dispositivo odontoiatrico che ha diverse funzioni.
- Isolare il campo in cui si sta operando per evitare infiltrazioni, che risultano controproducenti per il successo dell’intervento.
- Proteggere il paziente dall’accidentale ingestione, con rischio di soffocamento, dei vari materiali utilizzati per curare i denti del paziente, potendo operare in totale sicurezza. Con la diga di gomma è impossibile che liquidi irritanti e strumenti possano accidentalmente essere ingoiati. Inoltre, si riduce il rischio di danni accidentali ai tessuti molli con frese o strumenti taglienti a seguito di movimenti improvvisi.
- Lavorare meglio: la diga di gomma permette di avere un campo operatorio pulito e asciutto. In questa condizione, tutti i materiali utilizzati per ricostruire i denti riescono ad esprimere le loro migliori proprietà. Questo perché i sistemi adesivi, utilizzati per incollare restauri in resina composita e in ceramica ai tessuti dentari, sono sensibili all’umidità durante le fasi della loro messa in opera, e quindi richiedono un ambiente asciutto per essere applicati e lavorati. La diga è anche indispensabile nelle devitalizzazioni, perché permette di lavorare con un campo disinfettato e isolato per tutto il tempo necessario.
- Vedere meglio: una volta isolati, i denti da trattare appaiono più visibili e quindi anche più facilmente trattabili da parte dell’odontoiatra. La diga infatti svolge un’azione di retrazione delle guance, delle labbra, della lingua e delle gengive, consentendo all’operatore di avere una migliore visibilità sul dente. Inoltre la diga, creando uno sfondo cromaticamente uniforme, permette di concentrare la visione solo sulla zona di interesse dell’intervento odontoiatrico stancando meno l’occhio del dentista.
La diga di gomma è stata introdotta più di 150 anni fa nelle università americane per migliorare la qualità del lavoro dei dentisti e proteggere il paziente.
La diga potrebbe provocare un senso di costrizione iniziale, per cui potrebbe non essere utilizzata in pazienti con alcuni tipi di psicosi o persone diversamente abili poco collaboranti. Non è invece controindicato l’uso della diga nei bambini né in caso di allergia al lattice, in quanto esistono dighe di gomma sintetica che ne sono prive.
La diga è composta da:
- foglio di lattice (o di materiale sintetico per i pazienti allergici), che isola il dente da sangue e secrezioni;
- uncini, che servono per fermare la diga all'altezza del colletto del dente;
- archetto, che serve per mantenere il foglio di lattice teso;
- filo interdentale, che serve per fermare in più punti la diga.
La diga di gomma va usata sempre?
La diga va usata tutte le volte che si deve eseguire un’otturazione con i compositi, una devitalizzazione o la cementazione di intarsi e corone con alcuni tipo di resine o ceramiche. È quindi altamente consigliato il suo impiego, ma non è obbligatorio.
È scomoda?
Assolutamente no. La diga consente di respirare tranquillamente con il naso e di inghiottire la saliva. Inoltre, non obbliga il posizionamento in bocca di fastidiosi aspirasaliva né tantomeno di retrarre le guance con specchietti per poter vedere bene.